Sostenibilità è diventata una delle parole più utilizzate negli ultimi anni in diversi ambiti, non solo in quello ambientale ma anche in quello economico e sociale. Ma cosa significa sostenibilità?
Treccani la definisce così: “Nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
Questa definizione implicitamente ci dice che serve sintonia e coordinamento tra i vari processi che si sviluppano nei diversi settori, siano essi ambientali, economici o sociali.
Wikipedia conferma questa definizione specificando che la sostenibilità “è il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo”.
Sembrerebbe insomma una gran bella cosa perseguire la sostenibilità perché significherebbe mirare a realizzare un perfetto equilibrio tra risorse e consumi garantendoci al contempo un migliore benessere e stile di vita. Ma non dovrebbe essere questa una normalità?
Agli inizi degli anni ‘70 Aurelio Peccei, un virtuoso imprenditore italiano, commissionò al MIT di Boston una ricerca dal titolo “i limiti dello sviluppo”. Quello che ne uscì fu una fotografia dell’attuale situazione mondiale…con circa 50 anni di anticipo! Quel lavoro, sottotitolato “Rapporto sui dilemmi dell’umanità”, fu il risultato delle simulazioni al computer di un modello matematico (World3), che per la prima volta aveva messo in relazione le componenti del sistema dinamico mondiale: popolazione, risorse naturali, produzione industriale, inquinamento.
Ci aveva anche implicitamente mostrato quale potente strumento sarebbe diventata l’informatica.
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