La sostenibilità non è una scelta

PREMESSA – Covid 19 e sostenibilità

«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere “Superato”».
Albert Einstein

Non so se proprio una benedizione, ma sicuramente uno stimolo per un cambiamento, questa crisi attuale lo è. La scienza ci dice che la distruzione degli ecosistemi rende più probabili le epidemie, incluse le pandemie, il che indica che la mancanza di attenzione alla Natura e alle sue risorse è la crisi alla base dell’attuale emergenza. Ci sarà un post-pandemia e per allora al più tardi, dovremo aver compreso le cause di questa crisi per prevenirne in futuro, aver rimesso in moto il sistema produttivo con un’attenzione maggiore alle risorse e agli sprechi perché il mondo dell’interscambio globalizzato/internazionale subirà qualche contraccolpo a favore di un mercato più rivolto al consumo nazionale/intranazionale.

Credo fermamente, come ammesso recentemente da un pool di economisti di fama mondiale tra cui il premio Nobel Joseph Stiglitz e Nicholas Stern, che una nuova strategia globale che parli di vera sostenibilità possa innescare una riconversione ad una nuova green economy (Gunter Pauli la chiama Blue Economy) dove, senza restrizioni e difficoltà, potremmo godere di un benessere più diffuso e equo.

Sostenibilità ambientale

Quale sostenibilità?

Sostenibilità è diventata una delle parole più utilizzate negli ultimi anni in diversi ambiti, non solo in quello ambientale ma anche in quello economico e sociale. Ma cosa significa sostenibilità?

Treccani la definisce così: “Nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Questa definizione implicitamente ci dice che serve sintonia e coordinamento tra i vari processi che si sviluppano nei diversi settori, siano essi ambientali, economici o sociali.

Wikipedia conferma questa definizione specificando che la sostenibilità “è il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo”.

Sembrerebbe insomma una gran bella cosa perseguire la sostenibilità perché significherebbe mirare a realizzare un perfetto equilibrio tra risorse e consumi garantendoci al contempo un migliore benessere e stile di vita. Ma non dovrebbe essere questa una normalità?

Agli inizi degli anni ‘70 Aurelio Peccei, un virtuoso imprenditore italiano, commissionò al MIT di Boston una ricerca dal titolo “i limiti dello sviluppo”. Quello che ne uscì fu una fotografia dell’attuale situazione mondiale…con circa 50 anni di anticipo! Quel lavoro, sottotitolato “Rapporto sui dilemmi dell’umanità”, fu il risultato delle simulazioni al computer di un modello matematico (World3), che per la prima volta aveva messo in relazione le componenti del sistema dinamico mondiale: popolazione, risorse naturali, produzione industriale, inquinamento.
Ci aveva anche implicitamente mostrato quale potente strumento sarebbe diventata l’informatica.

i limiti dello sviluppo modello World3

Il ruolo dell’edilizia nel processo sostenibile

E chi allora non vorrebbe essere oggi sostenibile? Ecco perché molte aziende si definiscono “sostenibili”, perfino chi brucia carbone per produrre energia elettrica o chi produce polivinilcloruro, meglio noto con PVC, una resina termoplastica che l’OMS sta pensando di inserire nella “enciclopedia dei cancerogeni” assieme a fumo, arsenico, alcol, amianto, ecc…

Si può dire però che mediamente siamo diventati più attenti e consapevoli alle nostre scelte, sia che si tratti di cibo che di vestiti o di edilizia. Stiamo imparando che, in un mondo sempre più connesso ed informato, ogni azione ha una conseguenza e che è arrivato ora il momento di scegliere bene perché la corsa alla crescita economica infinita sembra terminata..

Oggi le aziende sono chiamate a perseguire nel loro percorso di sviluppo e di crescita, oltre ad una strategia atta a generare ricchezza (non solo economica), anche una strategia capace di garantire il connubio tra competitività, sostenibilità ambientale e responsabilità sociale; elementi cruciali per il successo e premesse essenziali per l’affermarsi di una vera e nuova cultura di impresa. Le imprese devono diventare consapevoli che la salvaguardia del contesto ambientale e sociale è interesse primario collettivo.

Guarda caso chi fa la parte del leone nel consumo di risorse (energia e materiali) sono le aziende che operano nell’edilizia. E all’interno del settore edile è l’impiantistica ad avere uno dei ruoli più importanti, soprattutto in questa fase storica di transizione.

Sostenibilità sociale economica e ambientale

Questione di pesi… e di algoritmi

Edifici sempre più coibentati e una crescente attenzione al dettaglio hanno portato ad involucri edilizi sempre più performanti che necessitano di pochissima energia per garantire il comfort all’interno degli ambienti. Questo è stato uno dei motivi principali della nascita di Easytech, una realtà che coniuga esperienza e innovazione per dare una risposta di qualità, tecnologicamente avanzata e soprattutto sostenibile nel vero senso del termine.

Inizialmente l’idea era creare un impianto di riscaldamento elettrico che potesse essere competitivo con il tradizionale idronico perché molto più veloce nel portare in temperatura gli spazi interni; più facile da gestire grazie al fatto di rendere indipendente ogni ambiente e più sostenibile poiché la quantità di materiale utilizzato è circa il 3% rispetto ad un impianto tradizionale. L’altro importantissimo aspetto su cui investire era la facilità nello sfruttare l’energia gratuita prodotta localmente (fotovoltaico o eolico).

Ci siamo però accorti che lavorare con un impianto di riscaldamento elettrico ci apriva le porte ad una serie di innumerevoli interazioni con altri sistemi/impianti e che, grazie alla programmazione informatica (ora molto più evoluta di quella utilizzata nella ricerca del MIT del 1972 sopracitata), avremmo potuto fare ben di più che gestire il solo riscaldamento: gestire, monitorare e contabilizzare l’intera energia utilizzata dall’edificio. Insomma un impianto domotico vero e proprio focalizzato sull’aspetto energia.

In questo modo, oltre a facilitare la gestione all’utente, lo si può rendere anche consapevole di come utilizza quotidianamente le risorse che preleva dalla rete e/o che arrivano gratuitamente dal fotovoltaico, al fine di migliorarne la consapevolezza e ridurre i consumi e gli sprechi.

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